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Immagine del redattoreMarco Poli

La parte in ombra di me (aspetta il sole che è in te)

Da mesi mi sono ripromesso di tenermi lontano dalle diatribe social, dall’esprimere apertamente le mie opinioni su fatti di attualità e di costume. Non perché mi vergogni di esse o per umiltà, ma al contrario proprio perché mi son reso conto di quanto arrogantemente e pervicacemente io mi ci attacchi per dimostrare (soprattutto a me stesso) quanto esse siano più giuste di quelle altrui, che io ho ragione e gli altri torto. Ma ho anche capito che questo non mi fa bene, non mi è utile: alla fine è solo un gioco di specchi, un non voler considerare l’altro lato della luna, quello che pur non essendo illuminato naturalmente esiste. Ed è fastidioso vederselo spiattellato davanti, fa incazzare quando viene stuzzicato ed è più facile tritare e distruggere chi palesa queste parti che non mi piacciono piuttosto che fare i conti con quelle direttamente dentro di me, nel mio baule delle cose indesiderate.


Quello di cui non ci accorgiamo è che in questo modo questo baule diventa un serbatoio purulento di veleno e malessere che giorno dopo giorno riversiamo su chi ci sta attorno, in primi sui social (piazza virtuale in cui passiamo la stragrande maggioranza del nostro tempo, ma che al contempo ci permette di non metterci realmente la faccia, ma solo un avatar da cui crediamo di poterci dissociare senza difficoltà) ma pure nella vita reale, nascondendoci sempre dietro maschere che ci possano proteggere dagli schizzi di questo vomito velenoso, per esempio la maschera di una religiosità più di facciata che realmente spirituale, la maschera del socialmente impegnato che però disprezza alcune categorie, la maschera di chi “ho tanti amici X, ma…”. Non ci accorgiamo che gli schizzi in realtà ci raggiungono e vedere questo veleno ogni giorno fuori di noi non fa che peggiorarci, radicalizzandoci sempre più e rendendo sempre più massicci quei muri che ci dividono. Giudicare la sventura di povere vittime “che se la sono andata a cercare”, invocare la legge del taglione contro bestie inumane, barricarsi dietro un sedicente black humor sono solo modi per perpetrare l’idea che la nostra luna abbia solo la metà luminosa, ci illude di esorcizzare l’altra metà che vive dentro di noi, nel nostro baule. Solo abbracciandola, integrandola in noi, facendo pace con essa potremo purificare il veleno dentro di noi, lo schifo che spesso proviamo per noi stessi, per l’Altro, per il Mondo, per la Vita.


Empatia, amore, accoglienza, rispetto sono parole abusate che ora si trovano svuotate spesso di significato, sta a noi tornare a riempirle e non si tratta di dire “siamo tutti amici e fratelli” né è un "volemose bene" perché il buonismo rassicurante e paternalistico non porta a crescere. Si tratta di fermarsi, permettere di ascoltare l’altro nonostante il fastidio, il dolore, la rabbia o la paura che le sue parole ci provocano. Farci attraversare da esse e chiederci “cosa mi fanno provare? in che modo mi stanno toccando? in che modo reagendo potrei cambiare la situazione? e questo cambiamento sarebbe utile al benessere della società o farebbe star bene al momento solo me?”. Solo così ci è possibile scegliere il comportamento più opportuno.


E’ un processo difficile, faticoso, estenuante oserei dire. Spesso mi capita di trovarmi a spiegare all’altro le mie idee pretendendo però che l’altro le accetti, il che è non solo illusione, ma anche una forma di violenza. Me ne accorgo, mi dò uno scappellotto da solo e mi rimetto con fatica in carreggiata nei miei propositi. Non si tratta di non giudicare, si tratta di trattenersi dal dar retta ai PREgiudizi.

Tanti complimenti a chiunque sia riuscito ad arrivare alla fine di questo lungo post/sfogo/riflessione/confessione. Evidentemente avevo bisogno di far cambiare aria al mio armadio e purificarmi dal veleno social accumulato.

Come diceva Valentina Giovagnini “mai mi scoprirai, mai mi vedrai se guardi me solo con gli occhi tuoi, la verità che tu non sai è un fiore che non hai raccolto mai”


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